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Accessibilità web: perché non puoi più permetterti di ignorarla
19 giugno 202528 giugno 2025
Quando la superficialità potrebbe costarti come un’Audi nuova
Signori imprenditori, è arrivato il momento di parlare chiaro.
Mentre voi stavate discutendo di intelligenza artificiale, metaverso e trasformazione digitale, il legislatore europeo ha preparato una bomba a orologeria pronta a esplodere nel vostro business.
Si chiama European Accessibility Act, recepito in Italia con il decreto legislativo 82/2022.
E se pensate che sia “l’ennesima seccatura burocratica europea”, vi sbagliate di grosso.
Non stiamo parlando di una normativa per fare bella figura nei report ESG.
Parliamo di:
- Contenziosi civili per discriminazione
- Siti oscurati da AGID
- Aziende marchiate pubblicamente come “inadempienti” su dashboard accessibili a chiunque
- Sanzioni da 5.000 a 40.000 euro
È una rivoluzione che separerà definitivamente le aziende serie da quelle improvvisate.
Ma l’aspetto più paradossale è che proprio in questi mesi cruciali, il mercato è invaso da offerte plug and play, venditori di fumo e soluzioni “miracolose” che non risolvono il problema e che spesso lo aggravano.
È come se, di fronte a un controllo fiscale della Guardia di Finanza, qualcuno vi vendesse una calcolatrice magica che “sistema tutto automaticamente”.
Questo articolo non è un manuale tecnico, anche se affronterà concetti legati a come svolgere una remediation efficace.
L’intento principale sarà un atto di denuncia contro l’approssimazione, l’improvvisazione e la disinformazione
Un manifesto per chi vuole capire davvero cosa significa impegnarsi seriamente nell’era dell’accessibilità digitale obbligatoria.
Se hai bisogno di una consulenza pratica e immediata sull’argomento, richiedi qui una prima valutazione di accessibilità del tuo sito web
Ma poi torna a leggere l’articolo, perchè i concetti che troverai sono poco trattati e conosciuti!
Le 8 inesattezze più diffuse sull’accessibilità digitale: cosa devi sapere davvero
L’avvicinarsi della scadenza del 28 giugno 2025 per l’applicazione dell’European Accessibility Act (D.Lgs. 82/2022) sta generando caos informativo, ansia e soprattutto disinformazione nel mercato italiano.
In questo contesto, proliferano informazioni errate, strategie commerciali aggressive e false credenze sull’obbligo di adeguamento dei siti web e dei servizi digitali.
Per fare chiarezza, nei prossimi paragrafi analizzeremo punto per punto le 8 inesattezza/menzogne più comuni che circolano sul tema dell’accessibilità digitale.
È tempo di smettere di farsi ingannare e iniziare a informarsi correttamente.
1. Prima inesattezza: “tutti i siti devono adeguarsi, anche i siti vetrina e quelli B2B”
❌ Falso – Chi sostiene questo o mente deliberatamente per aumentare le vendite o non ha compreso a fondo la normativa.
Questa è una delle affermazioni più diffuse e dannose sull’accessibilità digitale.
Chi vi dice che “tutti i siti web devono adeguarsi” sta cercando intenzionalmente di ampliare il proprio mercato o non ha letto attentamente il decreto legislativo 82/2022.
Cosa dice davvero la normativa
Il decreto legislativo 82/2022 all’art. 1, comma 3, indica chiaramente i servizi digitali che rientrano negli obblighi.
Gli obblighi si applicano esclusivamente ad aziende con oltre 2 milioni di euro di fatturato annuo (non puramente e-commerce ma complessivo) oppure con 10 o più dipendenti.
Inoltre L’EAA si rivolge unicamente a società che operano direttamente con i consumatori finali.
Di seguito una lista di ciò che rientra nell’adeguamento normativo:
- I servizi coinvolti sono esclusivamente quelli destinati ai consumatori finali:
- Servizi di comunicazione elettronica (esclusi i servizi macchina-a-macchina)
- Servizi di accesso a media audiovisivi
- Servizi di trasporto passeggeri (aerei, autobus, ferroviari, marittimi), inclusi siti e app mobile, biglietteria elettronica, informazioni in tempo reale e terminali self-service
- Servizi bancari per consumatori
- Libri elettronici (e-book) e software correlati
- Servizi di commercio elettronico (e-commerce B2C)
Cosa non è incluso negli obblighi
Non sono soggetti agli obblighi EAA i siti web vetrina che si limitano a informazioni statiche aziendali, presentazione di prodotti senza vendita online, news e contenuti informativi, o semplici contatti senza transazioni digitali.
Inoltre, è importante sottolineare che anche i siti B2B, ovvero quelli rivolti esclusivamente ad aziende e non al consumatore finale, non rientrano negli obblighi della normativa.
L’elemento discriminante
La normativa si applica solo se il tuo sito consente ai consumatori finali di concludere contratti online, ovvero se offri servizi forniti a distanza, tramite web o app mobile, con transazioni digitali su richiesta individuale.
Il tuo sito rientra se permette:
- Acquisto diretto di prodotti o servizi da parte del consumatore finale
- Prenotazioni con pagamento online rivolte ai consumatori
- Pagamenti digitali diretti
Non rientra invece se consente solo consultazioni informative, contatti generici o è destinato esclusivamente a rapporti commerciali tra imprese (B2B).
Perché molti consulenti mentono
Affermare che “tutti devono adeguarsi” è puro marketing aggressivo.
Amplia artificialmente il mercato, semplifica la vendita evitando analisi dettagliate caso per caso, genera un’urgenza artificiale che porta a più contratti rispetto a una comunicazione corretta.
Inoltre, permette di bypassare la necessità di competenze specifiche, offrendo indistintamente soluzioni generiche invece degli interventi mirati necessari.
2. Seconda inesattezza: “è prevista una deroga al 2030 per chi non è ancora accessibile”
❌ Falso – Chi lo afferma confonde i prodotti fisici con i servizi digitali. Oppure, peggio, sta cercando di prendere tempo…
Ecco la cronologia che (quasi) nessuno ha avuto il coraggio di raccontarvi
Deve essere chiaro che non stiamo parlando di una norma comparsa all’improvviso, dall’oggi al domani.
Ma di un percorso iniziato anni fa, che in troppi hanno preferito ignorare o minimizzare.
- 17 aprile 2019 — L’Unione Europea pubblica la Direttiva 2019/882, nota come European Accessibility Act.
- 27 maggio 2022 — L’Italia recepisce la direttiva con il decreto legislativo 82/2022, già oggi pienamente in vigore.
- 28 giugno 2025 — È la data che conta, quella in cui scatteranno i controlli, le effettive responsabilità e le sanzioni.
Questa distinzione è cruciale, il 28 giugno 2025 non è un punto di partenza ma una vera e propria scadenza.
Entro quella data, dovrete essere già conformi, dotati della corretta documentazione e pronti a sostenere un’eventuale ispezione.
Perché chi parte ora è già in ritardo
Rendere accessibile un ecosistema digitale non è per nulla paragonabile all’installazione di un plugin WordPress.
È un processo complesso che affronta aspetti tecnici, di UX/UI e legal.
Ecco un’esempio di roadmap plausibile
- Analisi e mappatura (2–4 settimane)
Rilevazione dei servizi, criticità, priorità. Definizione delle attività di remediation, lato codice e lato UI - Progettazione della remediation (1 settimane)
Stima di costi e tempi, pianificazione degli interventi senza bloccare l’operatività. - Implementazione tecnica (2–10 settimane a seconda dei casi)
WordPress, Shopify Prestashop possono essere relativamente più semplici ma non i tutti i casi.
Magento, Salesforce, sistemi custom ecc… sono molto più complicati e prevedono maggiori tempi di implementazione - Testing e validazione reale (2–4 settimane)
Con tecnologie assistive, test manuali, revisione dell’esperienza utente effettiva. - Documentazione e Dichiarazione di Accessibilità (più propriamente Informativa) (1–3 settimane)
Serve un fascicolo conforme all’Allegato IV, non una paginetta generica online. - Formazione del personale
Non del tutto opzionale. Il team interno deve saper gestire modifiche, contenuti e aggiornamenti futuri in modo accessibile by design
Conti alla mano: servono almeno 2–4 mesi, anche nella migliore delle ipotesi.
Con realtà digitali più strutturate, può volerci anche molto di più.
Ma non è prevista una “proroga al 2030” per l’accessibilità digitale?
No, riguarda solo i prodotti fisici e non i servizi online
Uno degli equivoci più insidiosi nasce da una cattiva interpretazione del punto 4.3 delle Linee guida AGID, che recita:
“Se il servizio rientra nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2022, i fornitori di servizi dal 28 giugno 2025 devono rispettare i requisiti di accessibilità. Per alcuni prodotti e servizi esistono disposizioni transitorie in base alle quali i requisiti di accessibilità devono essere soddisfatti in data successiva. In particolare, fino al 28 giugno 2030 i fornitori di servizi possono continuare a prestare i loro servizi utilizzando prodotti che utilizzavano in modo legittimo prima di tale data per fornire servizi analoghi.”
Questo passaggio ha portato molti addetti, anche tra professionisti e giuristi, a concludere erroneamente che tutti i servizi digitali possano godere di una proroga.
Ma non è affatto così.
Quel riferimento riguarda esclusivamente i prodotti fisici, come terminali self-service, hardware, totem, dispositivi informatici.
Questi, se già in uso prima del 28 giugno 2025, possono rimanere operativi fino al termine del loro ciclo di vita, e comunque non oltre il 2030.
I servizi digitali non rientrano in questa eccezione. Nessuna proroga. Nessuna deroga. Nessun periodo di grazia.
Dal 28 giugno 2025, tutti i servizi digitali soggetti dovranno essere pienamente conformi.
E se non modifico il sito web posso ritenermi a norma ed esente dalle richieste di adeguamento per l’accessibilità?
Altro passaggio che confonde è quello dell’articolo 13, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 82/2022, che recita:
“I requisiti di accessibilità di cui all’articolo 3 si applicano soltanto nella misura in cui la conformità: a) non richieda una modifica sostanziale di un prodotto o di un servizio tale da comportare la modifica sostanziale della sua stessa natura”
Molti interpretano erroneamente questo passaggio pensando che basti mantenere il sito com’è senza effettuare cambiamenti per essere esenti dagli obblighi di accessibilità.
In realtà la norma parla di tutt’altro e si riferisce a modifiche che stravolgerebbero completamente la natura del servizio offerto, non alle normali attività di adeguamento per l’accessibilità.
Il punto fondamentale è che l’obbligo rimane sempre attivo e se questo fosse davvero il caso, il fornitore deve comunque effettuare una valutazione documentata per dimostrare perché i requisiti di accessibilità comporterebbero una modifica sostanziale della natura del servizio.
Questa valutazione deve essere conservata per 5 anni, rivista almeno annualmente e ogni volta che il servizio viene modificato, e può essere richiesta dall’AgID in qualsiasi momento.
Quindi anche chi fa riferimento a questa eccezione rigira concetti a proprio vantaggio e a svantaggio di chi poi si trova concretamente di fronte ad un’ispezione dell’Agid
L’effetto collo di bottiglia
C’è un altro problema che chi parte adesso forse ignora
Il mercato non è pronto a gestire un’ondata di emergenze.
Migliaia di aziende si muoveranno tutte insieme nei secondo semestre del 2025 e i fornitori davvero competenti saranno già molto occupati.
Resteranno a disposizione gli improvvisati o le soluzioni automatiche non conformi, che vi lasceranno comunque totalmente esposti ad eventuali segnalazioni e sanzioni
3. Terza menzogna: “Con un widget si risolve il problema dell’accessibilità”
❌ Falso – È la scorciatoia più costosa, inefficace e pericolosa dell’accessibilità digitale.
Se dovessi scegliere la bugia più tossica del settore, sarebbe questa.
Perché non si limita a illudere, ma trasforma l’ignoranza in spesa ricorrente, e l’inadempienza in finta soluzione.
Parliamo dei famosi widget di accessibilità, noti anche come overlay.
Pezzetti di JavaScript che promettono di “rendere il tuo sito accessibile con un click”.
Di solito aggiungono un’icona in basso a sinistra ( l’omino stilizzato, per intenderci ) che apre un pannello con opzioni per ingrandire il testo, invertire i colori, attivare una voce robotica che legge i contenuti.
Fantastico, vero?
Un problema complesso risolto con un bottone.
Peccato che non funzioni.
Anzi, peggiora le cose.
Perché non funziona (e non può funzionare)
L’accessibilità non si riduce a un filtro visivo.
È una struttura semantica, con una logica di navigazione e un codice informatico adeguato.
È progettazione ed esperienza reale che non può essere sostituita da un sistema di sovrascrittura.
I widget non possono modificare il codice sorgente del sito web.
Non correggono quindi la semantica, non sistemano l’ordine del DOM, non rendono navigabile il sito da tastiera o con un sintetizzatore vocale (VoiceOver)
In particolare non sono compatibili con le tecnologie assistive reali (screen reader, software di ingrandimento, dispositivi alternativi).
Anzi spesso entrano in conflitto rendendole inutilizzabili, o modificano e stravolgono l’esperienza personalizzata che le persone disabili creano per navigare in base alle loro necessità (zoom personalizzato, contrasti specifici, impostazioni dello screen reader, ecc.).
Ma c’è anche di peggio.
Molti di questi tool sono progettati per “imbellettare” i risultati nei test automatici, facendo salire i punteggi senza migliorare nulla nella sostanza.
È quasi come truccare i dati nei crash test delle auto.
E no, non lo diciamo solo noi.
La Commissione Europea lo ha dichiarato ufficialmente:
“Gli accessibility overlay o altri strumenti che modificano l’interfaccia visiva non sono sufficienti per garantire la conformità. I problemi vanno risolti alla fonte.”
E in caso di contenzioso?
Pensate che il widget vi salvi da un’ispezione AGID?
Beh di certo No.
Anzi, rischia di esporvi maggiormente a segnalazioni da parte di persone disabili
E certamente un ispettore Agid non guarda l’iconcina dell’overlay
Guarda se la struttura HTML è navigabile da tastiera.
Se l’ordine logico è rispettato. Se le etichette sono chiare per lo screen reader.
Se il codice è inaccessibile, la violazione resta.
E quando dichiarate di “aver risolto tutto col widget”, state confermando che eravate consapevoli del problema.
E che avete scelto di evitarlo.
Ci sono precedenti legali sull’accessibilità? Si ne esistono a migliaia.
Negli Stati Uniti, oltre 4.500 cause legate all’accessibilità web sono state presentate nel solo 2023.
E UNA SU QUATTRO riguarda proprio siti che usavano widget o overlay come unica soluzione.
Questi strumenti, promossi come “magici”, sono finiti nel mirino non solo degli avvocati, ma anche delle autorità.
La Federal Trade Commission ha multato per un milione di dollari uno dei principali fornitori, accusato di promesse ingannevoli.
E non è finita qui.
Nel 2019, Domino’s Pizza viene citata in giudizio da un utente cieco.
Il sito aveva un overlay. Ma era per l’appunto comunque inutilizzabile con tecnologie assistive.
La corte ha stabilito che la presenza del widget non solo non era sufficiente, ma dimostrava che l’azienda aveva scelto consapevolmente una soluzione inadeguata.
Il tutto è risultato in una sconfitta costosa e in un precedente pericoloso.
Da Luglio 2024 è in corso una class action negli USA contro uno dei principali produttori di overlay, accusato di fornire strumenti che violano il diritto all’accessibilità e generano danni a catena per milioni di utenti.
Fonte: Webaccessibile.org
Perché in europa sono rivenduti comunque?
Semplice. È un affare d’oro.
- Margini altissimi: un solo codice venduto a migliaia
- Ricavi ricorrenti
- Nessun intervento tecnico personalizzato
- Nessuna responsabilità
È la versione digitale della pillola magica.
Alta redditività, basso sforzo con clienti che pagano senza sapere cosa stanno comprando.
La verità che (quasi) nessuno ha il coraggio di dire
Man mano che questi approfondimenti si articolano converrete con me che l’accessibilità digitale è una disciplina molto seria che non può essere relegata a semplici soluzioni plug and play.
Un po’ come la sicurezza informatica o come il GDPR.
L’accessibilità richiede metodo, progettazione, consapevolezza.
Chi vi promette “accessibilità con un bottone” vi sta vendendo una bugia comoda.
E spesso ve la fa pagare anche cara.
4. Quarta inesattezza: “AGID prima vi avvisa e poi vi multa”
❌ Non proprio – È un’ inesattezza non aderente alla realtà che rischia di creare una falsa sensazione di sicurezza.
L’illusione del periodo di grazia
C’è ancora chi pensa che, in caso di problemi, AGID manderà un promemoria gentile, con tanto di preavviso e supporto.
Un’illusione pericolosa, paragonabile a credere che l’Agenzia delle Entrate vi mandi una lettera affettuosa prima di un accertamento fiscale.
Qual è il ruolo concreto di AGID
AGID non è un ente di consulenza.
È un’Autorità di vigilanza con poteri ispettivi e sanzionatori chiaramente definiti dall’articolo 21 del decreto legislativo 82/2022.
Leggete bene il comma 1: “L’Agenzia per l’Italia Digitale, in qualità di Autorità di vigilanza sui servizi, qualora sia in possesso di sufficienti elementi per ritenere che un servizio non sia conforme ai requisiti di accessibilità applicabili, ne valuta la conformità rispetto a ciascuno dei requisiti applicabili.”
In sostanza si fa presente che se AGID ha motivo di credere che ci sia una violazione, procede direttamente con la verifica. E se la verifica conferma la violazione, procede poi con la sanzione.
I tre canali che portano all’attenzione di AGID
Segnalazioni da parte degli utenti
È il canale più probabile e più sottovalutato.
AGID ha attivato una piattaforma specifica per raccogliere reclami da parte di cittadini che riscontrano problemi di accessibilità.
E non bisogna incappare nell’errore in cui si crede che si tratti di segnalazioni sporadiche o dilettantesche.
Le associazioni per i diritti delle persone con disabilità sono molto organizzate, tecnicamente preparate e legalmente consapevoli.
Monitoraggi sistematici
AGID conduce verifiche periodiche a campione, utilizzando sia strumenti automatici che valutazioni manuali.
Non è un controllo una tantum, ma un’attività continuativa di sorveglianza del mercato.
Controlli mirati su settori sensibili
Alcuni settori (banking, e-commerce, servizi pubblici essenziali) sono sotto osservazione particolare.
Se operate in questi ambiti, la probabilità di essere controllati è significativamente più alta.
Le sanzioni
I numeri parlano chiaro:
Sanzioni base
Da 5.000 a 40.000 euro
Reiterazione delle sanzioni
I documenti specificano che “Le sanzioni possono essere reiterate se non si adegua il servizio, con costi accessori legati a consulenze, interventi tecnici e possibili contenziosi”. Questo significa che non si tratta di una multa una tantum, ma di un meccanismo che può ripetersi fino a quando non si ottiene la conformità.
Sanzioni aggravate
Per aziende con fatturato superiore a 500 milioni di euro, la sanzione può arrivare fino al 5% del fatturato annuo. Stiamo parlando di cifre che possono superare i 25 milioni di euro.
Costi accessori
Alle sanzioni si aggiungono le spese del procedimento, i costi delle verifiche tecniche, gli oneri amministrativi. E naturalmente le vostre spese legali per la difesa.
La “gogna pubblica” degli elenchi AGID
Tra i rischi reputazionali è espressamente prevista la “Pubblicazione da parte di AgID negli elenchi ufficiali degli inadempienti”.
Questo significa che le aziende sanzionate vengono rese pubbliche, con evidenti danni reputazionali, esclusione dai bandi e impatto negativo sui rating ESG.
Immaginate l’impatto di questa cosa.
I vostri clienti, i vostri partner, i vostri concorrenti, i media che consultano questi elenchi e scoprono che la vostra azienda è stata sanzionata per discriminazione verso le persone con disabilità.
In un’epoca di sensibilità crescente sui temi ESG e di inclusione sociale, è un danno che può valere molto più della sanzione stessa.
Obbligo di autodenunciarsi
Un altro aspetto poco noto è che se un servizio non è conforme, il fornitore deve informare immediatamente l’AgID della non conformità attraverso le modalità pubblicate sul sito istituzionale dell’Agenzia che saranno disponibili poco prima del 28 Giugno 2025.
Non farlo costituisce ulteriore violazione.
Il Calcolo del rischio che dovreste fare
Provate a fare questo semplice calcolo basato su stime di massima:
- Probabilità di essere controllati nei primi 3 anni: 30-50% per aziende di medie/grandi dimensioni
- Probabilità di violazioni se non siete conformi: 90-95%
- Sanzione media per violazioni multiple: 15.000-25.000 euro
- Danno reputazionale stimato: 50.000-200.000 euro in perdite di business
Confrontate questi numeri con il costo di una conformità seria (15.000-30.000 euro) e capirete perché chi vi dice “tanto AGID avvisa prima” vi sta offrendo un pessimo servizio.
5. Quinta menzogna: “Con noi siete tranquilli” – Ma poi il contratto è pieno di manleve
❌ Falso – La quasi totalità dei servizi di scansione o che offrono widget si manleva
Il Paradosso delle responsabilità ribaltate
Eccoci arrivati al cuore della questione più pericolosa di tutto questo mercato: il paradosso delle manleve nell’accessibilità digitale.
Da un lato, fornitori che promettono “tranquillità totale”, “conformità garantita”, “zero pensieri per voi”.
Dall’altro, contratti pieni di clausole che scaricano su di voi ogni rischio, responsabilità e conseguenza.
Anatomia di una manleva: come è concepita per essere legale
La manleva è uno strumento contrattuale legittimo quando utilizzato appropriatamente e soprattutto quando comunicato in modo chiaro in fase di presentazione del servizio e in quella di valutazione contrattuale.
Diventa un escamotage un po’ meno elegante quando viene utilizzata per ribaltare completamente l’allocazione naturale dei rischi o se non si prevede un’alternativa di tutela valida.
Ad esempio ci si può ritrovare con clausole come queste:
La Manleva Assoluta “Il Cliente tiene manlevato e indenne il Fornitore da qualsiasi richiesta, azione legale, danno, perdita, costo o spesa di qualsiasi natura derivante dall’utilizzo dei servizi forniti, incluse ma non limitate a sanzioni amministrative AGID, procedimenti per discriminazione, contenziosi civili, danni reputazionali.”
Traduzione in italiano: “Noi facciamo quello che ci pare, ma se va male, pagate voi”.
L’esclusione di garanzie: “Il Fornitore non garantisce che i servizi forniti rispettino integralmente le normative vigenti in materia di accessibilità digitale. Il servizio è fornito ‘as is’ senza garanzie di conformità, completezza o accuratezza.”
Traduzione: “Non sappiamo quello che facciamo, ma fatecelo fare lo stesso”.
Perché le manleve sono particolarmente insidiose nell’Accessibilità
L’accessibilità digitale presenta un’asimmetria informativa estrema.
Voi, clienti, non avete le competenze per valutare la qualità tecnica del lavoro.
Vi dovete fidare del fornitore che si presenta come esperto, che usa terminologie tecniche, che mostra certificazioni e referenze. (per la cronaca non esistono certificazioni ufficiali in ambito accessibilità web…)
Il fornitore sa quello che fa (o dovrebbe saperlo)
Conosce le WCAG, sa come implementarle, ha gli strumenti per testare la conformità, dovrebbe essere in grado di garantire il risultato.
Voi non potete verificare
Non avete gli screen reader per testare la compatibilità, non conoscete i 78 criteri di successo delle WCAG 2.1, non sapete distinguere tra conformità reale e conformità apparente.
In questo contesto, la manleva diventa un meccanismo per trasferire su chi non sa il rischio di errori commessi da chi dovrebbe sapere.
È una perversione completa del principio di responsabilità professionale.
Le alternative esistono: cosa cercare in un contratto serio
Non tutti i fornitori sono cowboys.
Esistono professionisti seri che assumono le proprie responsabilità.
Come riconoscerli? Dal contratto, ad esempio con:
Assunzione di responsabilità specifica
“Il Fornitore assume la piena responsabilità sulla conformità della Dichiarazione di Responsabilità alla normativa vigente, e su tutte le attività indicate in oggetto”
Garanzie concrete e verificabili:
- Copertura assicurativa professionale specifica per errori e omissioni
- Impegno scritto al rimborso di sanzioni derivanti da errori tecnici
- Assistenza legale inclusa per procedimenti AGID derivanti da non conformità
Condivisione ragionevole dei rischi:
- Fornitore responsabile della conformità tecnica iniziale
- Cliente responsabile della manutenzione ordinaria dei contenuti
- Procedure chiare per modifiche successive al sito
- Aggiornamenti normativi inclusi nel contratto di manutenzione
Il modello accessibilitàdigitale.com: responsabilità senza giochi di parole
Noi abbiamo fatto una scelta radicale e ci assumiamo la responsabilità legale integrale del nostro lavoro.
Studio legale come garante: non solo il nostro partner legale, ma il vostro garante contrattuale.
Firma la conformità del lavoro e se ne assume la responsabilità professionale.
Copertura assicurativa specifica: lo studio legale offre la sua polizza professionale per errori e omissioni relative al tema dell’accessibilità digitale. In caso di segnalazioni (cosa che non è mai successa), la polizza copre il costo delle sanzioni
Supporto legale attivo: Se ricevete una segnalazione AGID per problemi derivanti dal nostro lavoro, non vi diciamo “arrangiatevi”. Gestiamo noi il procedimento con i lo studio legale.
Qui è possibile scaricare una Guida all’accessibilità web che può fornirvi ulteriori informazioni in merito
Red Flags che dovrebbero farvi scappare a gambe levate
Nel processo commerciale:
- Rifiutano di mostrarvi il contratto prima della firma
- “è tutto standard, non si può modificare”
- Non hanno assicurazione professionale o non ve la mostrano
- Non possono fornire referenze di gestione di problemi reali
Nel contratto:
- Presenza di manleve estensive
- Esclusione di responsabilità per “danni indiretti” (che includono quasi tutto)
- Limitazione della responsabilità al valore del contratto
- Formule “as is”, “best effort”, “senza garanzie”
Nell’approccio:
- Promettono risultati certi ma non se ne assumono la responsabilità
- Minimizzano i rischi invece di spiegarli chiaramente
- Non hanno un team legale di riferimento
- Non sanno spiegarvi cosa succede se sbagliano
Diritto a garanzie professionali
Il mercato dell’accessibilità digitale è pieno di aziende che hanno capito come vendere tanto rischiando poco.
È un modello di business perfetto con minimo rischio e massima resa.
Ma non bisogna essere necessariamente complici di questo sistema.
Avete il diritto di pretendere fornitori che si assumano le proprie responsabilità.
Avete il diritto di pretendere garanzie reali, non parole vuote pronunciate durante riunioni con i sales.
La tranquillità vera nell’accessibilità digitale non deriva da promesse commerciali.
Deriva da impegni contrattuali chiari, verificabili e coperti da garanzie concrete.
Tutto il resto sono chiacchiere che possono costare caro.
6. Sesta inesattezza “Basta una Dichiarazione di Accessibilità per essere compliant”
❌ Falso – Nell’EAA non si parla neanche di una vera e propria “Dichiarazione di accessibilità”…
Il Grande Equivoco
Equiparare gli obblighi dell’European Accessibility Act con quelli della Legge Stanca per le Pubbliche Amministrazioni o grossi gruppi e società sopra i 500M di fatturato è comune nello scenario comunicativo.
La Legge Stanca, quella che regola l’accessibilità delle PA, prevede effettivamente una “dichiarazione di accessibilità”, un documento formale che le amministrazioni pubbliche devono pubblicare sui loro siti web.
Ma l’EAA, la normativa che si applica alle aziende private, non parla mai di “dichiarazione” ma di “documentazione”
Parla di qualcosa di sostanzialmente diverso.
Certamente è legitttimo definirla “dichiarazione, di accessibilità” , anche per non complicarsi la vita e per semplificare e accomunare le vare nomenclature.
Ma vediamo cosa è richiesto dalla legge ai fini di questa scadenza normativa.
Cosa richiede davvero l’articolo 12 del decreto 82/2022
Leggete attentamente l’articolo 12, comma 2: “Il fornitore di servizi predispone le informazioni necessarie in conformità dell’allegato IV indicando le modalità con le quali sono soddisfatti requisiti di accessibilità. Le informazioni sono messe a disposizione del pubblico in forma scritta e orale, anche in modo da essere accessibili a persone con disabilità. Il fornitore di servizi conserva dette informazioni finché il servizio è operativo.”
Notate le parole chiave: “informazioni necessarie”, “allegato IV”, “modalità con le quali sono soddisfatti i requisiti”, “forma scritta e orale”, “accessibili a persone con disabilità”, “conserva finché il servizio è operativo”.
Non si fa riferimento a una dichiarazione equiparabile alla Legge Stanca, ma di informativa adeguata.
L’Allegato IV: Il fascicolo tecnico di cui non si parla molto
L’Allegato IV non è una checklist da completare ma la richiesta di un vero e proprio fascicolo tecnico che deve contenere:
La descrizione generale del servizio in formato accessibile
Non la solita presentazione aziendale, ma una spiegazione di come funziona il vostro servizio digitale scritta in modo che anche una persona con disabilità cognitive possa comprenderla.
Significa ripensare il vostro linguaggio, la vostra comunicazione, la vostra capacità di spiegare cosa fate.
La spiegazione dettagliata del funzionamento
Ogni flusso, ogni processo, ogni interazione deve essere documentata dal punto di vista dell’accessibilità.
Se vendete online, dovete spiegare come una persona cieca può navigare nel vostro catalogo, aggiungere prodotti al carrello, completare il pagamento.
Se offrite servizi bancari, dovete documentare come un utente con disabilità motorie può autorizzare un bonifico.
La documentazione specifica su come soddisfate i requisiti
Qui entra in gioco la competenza tecnica vera.
Dovete dimostrare, criterio per criterio delle WCAG 2.1 AA, come il vostro servizio rispetta gli standard. Non basta dire “siamo conformi”. Dovete provarlo, documentarlo, renderlo verificabile.
L’indicazione della norma tecnica applicata
Il riferimento è la EN 301 549 versione 3.2.1, lo standard europeo che implementa le WCAG 2.1.
Ma dovete indicare anche eventuali deroghe, eccezioni, limitazioni. Il tutto con la massima trasparenza
Perché questa confusione può essere pericolosa
Ogni giorno che passa con questa confusione in testa è un giorno perso e un rischio che cresce.
Perché quando AGID verrà a verificare, non si accontenterà di una pagina web con scritto “Dichiarazione di Accessibilità” copiata da un template trovato su Google.
Vorrà vedere il fascicolo tecnico, vorrà capire come funziona davvero il vostro servizio, vorrà verificare se sono state documentate le azioni richieste.
7. Settima inesattezza: “Gli strumenti di scansione Automatica Sono Sufficienti per la Conformità”
❌ Falso – Gli strumenti di scansione riconoscono all’incirca il 30% delle problematiche reali
La grande illusione tecnologica
Questa è forse l’aspetto più seducente di tutti, perché promette una soluzione di analisi relativamente “facile” e “rapida”
Una soluzione tecnologica semplice, veloce ed economica a un problema complesso.
Il problema è che l’accessibilità web non è un problema puramente tecnico che si risolve con un semplice algoritmo.
È un problema di esperienza umana che richiede comprensione, empatia, competenza e soprattutto test con persone reali.
La matematica impietosa del 20/30%
Tutti i principali strumenti automatici di verifica dell’accessibilità (Lighthouse, WAVE, aXe, Pa11y) hanno un limite intrinseco.
Riescono a rilevare al massimo il 30% delle violazioni WCAG reali.
Non è una mia opinione, è un dato tecnico riconosciuto dalla comunità internazionale degli esperti di accessibilità.
Fonte: https://www.w3.org/WAI/test-evaluate/tools/limitations/
Perché questo limite?
Semplice, gran parte dei criteri WCAG richiedono necessariamente una valutazione umana.
Un algoritmo può verificare se un’immagine ha un attributo “alt”, ma non può valutare se il testo alternativo è appropriato, descrittivo e utile.
Può controllare i rapporti di contrasto matematici, ma non può giudicare se il design complessivo è comprensibile per una persona con disabilità cognitive.
Inoltre l’accessibilità non è solo semantica, ma riguarda logiche di navigazione ben specifiche.
I falsi positivi che ingannano
Gli strumenti automatici spesso segnalano come “errori” situazioni che in realtà sono perfettamente accessibili, e come “corretti” situazioni che in realtà sono problematiche.
Esempio classico dei falsi positivi
Un tool automatico può segnalare come “errore” un’immagine decorativa senza testo alternativo, anche se l’immagine è correttamente marcata come decorativa (alt=”” o role=”presentation”).
Dal punto di vista tecnico è perfetta, ma il tool la segna come errata.
Esempio classico dei falsi negativi
Un tool automatico può dare “tutto verde” a un sito dove le immagini hanno testi alternativi come “immagine1.jpg” o “foto”. Tecnicamente c’è il testo alternativo, ma è completamente inutile per un utente non vedente.
L’Incoerenza devastante tra tool diversi
Provate questo esperimento: prendete lo stesso sito e analizzatelo con tre strumenti automatici diversi (Lighthouse, WAVE, aXe).
Otterrete tre risultati completamente diversi.
Un tool può darvi un punteggio di accessibilità del 95%, un altro del 60%, un terzo può segnalare errori che gli altri non vedono.
Questo succede perché ogni tool valuta difformità WCAG in modo leggermente diverso, ha algoritmi di rilevamento diversi, pesa i problemi in modo diverso. È come avere tre termometri che misurano temperature diverse per la stessa febbre.
Se i tool automatici fossero affidabili, questo non dovrebbe succedere.
Il fatto che succeda sistematicamente dimostra che non sono strumenti sufficienti per garantire la conformità.
Perché AGID non si accontenta dei tool automatici
Le Linee Guida AGID sono chiarissime su questo punto.
Nel paragrafo 7.4 sulle modalità di autovalutazione, specificano che “si raccomanda di condurre un’autovalutazione dei servizi al fine di intercettare eventuali difformità e attuare le relative azioni correttive. Per un approccio più sistematico e metodologico, si consiglia di effettuare l’autovalutazione ricorrendo alla check list allegata alle presenti Linee Guida.”
La check list allegata richiede valutazioni manuali, test con tecnologie assistive, verifica dell’esperienza utente reale. Non è qualcosa che si può automatizzare.
E soprattutto, al paragrafo 7.3 sul collaudo, AGID è ancora più esplicita: “Sarà dunque essenziale individuare tra i partecipanti al collaudo almeno un esperto nell’utilizzo delle tecnologie assistive.”
Traduzione:
AGID considera indispensabile il coinvolgimento di persone con disabilità nel processo di verifica.
Non solo quindi algoritmi, tool automatici ma persone reali che usano tecnologie assistive ogni giorno.
La Necessità del User Testing con persone disabili
Qui arriviamo al cuore della questione.
Il user testing con persone disabili è l’unico modo per scoprire:
- Se il vostro sito è davvero utilizzabile con screen reader
- Se una persona con disabilità motorie può completare i vostri processi
- Se chi ha disabilità cognitive riesce a orientarsi nella vostra navigazione
- Se i sottotitoli dei vostri video sono davvero utili per persone sorde
Nessun algoritmo può sostituire questa verifica.
Nessun tool automatico può simulare l’esperienza di una persona cieca che cerca di comprare un prodotto sul vostro e-commerce usando un lettore di schermo.
La competenza tecnica che non si improvvisa
Ma anche il user testing non basta se non è supportato da competenza tecnica specifica.
Implementare correttamente l’accessibilità web richiede:
Conoscenza approfondita delle piattaforme
Ogni CMS, ogni framework, ogni piattaforma e-commerce ha le sue specificità. Rendere accessibile un sito Shopify richiede competenze diverse da quelle necessarie per WordPress, che sono diverse da quelle per Magento.
Comprensione dell’architettura informativa
Non basta correggere errori tecnici puntuali.
Bisogna ripensare l’organizzazione dei contenuti, la gerarchia delle informazioni, i flussi di navigazione.
Padronanza delle tecnologie assistive
Chi implementa l’accessibilità deve sapere come funzionano screen reader, software di ingrandimento, dispositivi di input alternativi.
Competenze di frontend development
Molti problemi di accessibilità richiedono modifiche al codice HTML, CSS e JavaScript. Non basta configurare plugin, bisogna mettere le mani nel codice.
Queste competenze non si acquisiscono guardando un tutorial su YouTube o frequentando un corso online di due giorni. Richiedono anni di esperienza, formazione continua, aggiornamento costante.
L’Integrazione UX/UI che fa la differenza
Un sito accessibile non è un sito tecnicamente corretto e quindi per forza di cose brutto.
È un sito che funziona bene per tutti, che ha un’interfaccia intuitiva, che offre un’esperienza utente superiore.
E qui arriviamo a un punto che molti sottovalutano e che nessun servizio di audit e scansione offre.
L’accessibilità prevede competenze e conoscenze di branding, web design, brand identity e sensibilità stilistica per le diverse industry.
In sostanza occorre avere esperienza di:
User Experience Design
Saper progettare flussi di navigazione che funzionino per utenti con diverse abilità e modalità di interazione.
User Interface Design
Creare interfacce che siano belle, funzionali e accessibili. Il contrasto non deve essere solo matematicamente corretto, deve essere parte di una palette cromatica coerente con la brand identity e la brand colour palette.
Information Architecture
Organizzare contenuti e funzionalità in modo logico, prevedibile, facilmente navigabile anche senza vista.
Brand Design System
Integrare l’accessibilità nel sistema di design aziendale, nelle brand guidelines, nella comunicazione visiva.
Non è un lavoro che si può fare semplicemente “aggiungendo” l’accessibilità a un design esistente.
È un lavoro che parte dalla progettazione e permea ogni aspetto del servizio digitale.
Il vantaggio competitivo dell’accessibilità reale
Quando l’accessibilità è fatta bene, non è un costo o un vincolo.
È un vantaggio competitivo misurabile:
SEO migliorata
I criteri di accessibilità coincidono largamente con i fattori di ranking di Google. Un sito accessibile è quasi sempre più visibile nei motori di ricerca.
Performance ottimizzate
L’accessibilità richiede codice pulito, semantico, efficiente. Un sito accessibile è quasi sempre più veloce.
Usabilità superiore
Un sito progettato per essere utilizzabile anche con limitazioni fisiche o cognitive è più usabile per tutti.
Riduzione del bounce rate
Utenti che riescono a navigare facilmente rimangono più a lungo e convertono di più.
Ampliamento del target
Il 15% della popolazione mondiale ha qualche forma di disabilità. Un sito accessibile può servire questo mercato, i competitor inaccessibili no.
Questi vantaggi si ottengono ovviamente solo con accessibilità reale, non con conformità di facciata ottenuta attraverso tool automatici.
8. Ottava inesattezza: “Possiamo ricorrere all’onere sproporzionato”
Si ma solo in casi specifici e documentabili
La scappatoia poco plausibile
Si parla di una informazione che circola tra le aziende spesso più strutturate che hanno “scoperto” l’esistenza dell’articolo 13 del D.Lgs. 82/2022.
Molti imprenditori, dopo aver letto superficialmente la normativa, si sono convinti di aver trovato la “via d’uscita legale”: l’onere sproporzionato
“Se costa troppo, non siamo obbligati a farlo”,applicando appunto il concetto di anti-economicità
“Basta dichiarare che per noi è sproporzionato e il problema è risolto”.
Purtroppo questo è un ragionamento che dimostra una comprensione drammaticamente superficiale della normativa.
L’onere sproporzionato in realtà è un’eccezione estremamente ristretta, documentalmente pesante e processualmente complessa che, nella stragrande maggioranza dei casi, costa più della conformità stessa.
Cosa dice realmente l’Articolo 13
L’articolo 13, comma 1 del decreto stabilisce che i requisiti di accessibilità si applicano “soltanto nella misura in cui la conformità non comporti l’imposizione di un onere sproporzionato agli operatori economici interessati”.
Quella frase apparentemente liberatoria è seguita da una serie di vincoli, procedure e obblighi che la rendono estremamente difficile da utilizzare.
Il primo vincolo è procedurale
Non basta dire “per noi è sproporzionato”.
Bisogna “documentare la valutazione e conservare gli esiti di tale valutazione per almeno 5 anni”. Non è un’autocertificazione generica, è un dossier tecnico-economico che deve resistere al controllo di AGID.
Il secondo vincolo è temporale
La valutazione deve essere rivista “quando il servizio offerto è modificato”, “su richiesta delle autorità” e “regolarmente, almeno un anno dall’ultima valutazione”.
Non si tratta di una dichiarazione una tantum ma di un impegno continuativo di monitoraggio e documentazione.
Il terzo vincolo è comunicativo
“Il fornitore che invoca l’onere sproporzionato deve informare immediatamente l’AgID”.
Non è un documento da tenere nel cassetto ma una comunicazione ufficiale che vi pone automaticamente sotto osservazione.
L’Allegato V: La matematica spietata dell’onere sproporzionato
Il vero killer dell’onere sproporzionato è l’Allegato V del decreto, che stabilisce i criteri di valutazione.
Non sono criteri generici o soggettivi, sono calcoli matematici precisi che la maggior parte delle aziende non può sostenere.
Criterio 1 – Rapporto tra costi di conformità e costi totali
Dovete dimostrare che il costo per rendere accessibile il vostro servizio è sproporzionato rispetto ai costi totali di produzione, distribuzione e fornitura del servizio. Se il vostro e-commerce fattura 2 milioni di euro all’anno e ad esempio caso quasi pessimo costasse 20.000 euro renderlo accessibile, quel rapporto dell’1% difficilmente sarà considerato sproporzionato.
Criterio 2 – Analisi costi-benefici
Dovete valutare “i costi e i benefici per gli operatori economici rispetto al beneficio previsto per le persone con disabilità, tenendo conto del numero e della frequenza d’uso del servizio”. In pratica, dovete dimostrare che spendere per l’accessibilità danneggia più di quanto giovi.
È un calcolo quasi impossibile da sostenere eticamente e matematicamente.
Criterio 3 – Rapporto tra costi di conformità e fatturato
Il costo dell’accessibilità deve essere valutato rispetto al vostro fatturato netto.
Per una PMI con 5 milioni di fatturato, sostenere che 25.000 euro di investimento (lo 0,5%) costituiscono onere sproporzionato è praticamente impossibile.
Quando l’onere sproporzionato può essere legittimo
Per onestà intellettuale, esistono casi rarissimi in cui l’onere sproporzionato può essere legittimo:
Servizi con vincoli tecnici strutturali
Piattaforme che si basano su tecnologie legacy impossibili da modificare senza ricostruire tutto da zero potrebbero rientrare in questa possibilità.
Situazioni economiche documentalmente critiche:
Aziende in ristrutturazione del debito, procedure concorsuali, situazioni di stress finanziario documentato potrebbero avere argomenti in questo senso.
Stiamo parlando di una percentuale probabilmente inferiore al 5% delle aziende.
Per tutti gli altri, l’onere sproporzionato è un’illusione costosa che distoglie risorse dalla soluzione reale.
L’onere sproporzionato non è una scorciatoia.
È un percorso alternativo più lungo, più costoso e più rischioso della conformità.
È pensato per eccezioni reali e come un istituto di protezione per situazioni estreme, non come una via d’uscita per sviare dagli obblighi di legge.
L’unica strada seria è la conformità reale. Probabilmente costa anche meno, dura di più, offre vantaggi competitivi ed elimina definitivamente i rischi. Tutto il resto sono fantasie per di più rischiose.
La soluzione Accessibilità Digitale
Un approccio integrato, fondato su responsabilità e competenza
In un mercato ormai saturo di soluzioni approssimative, promesse miracolose e approcci superficiali, la vera differenza la fa la capacità di assumersi fino in fondo la responsabilità del proprio lavoro.
L’accessibilità digitale è, per sua natura, un ambito complesso che richiede competenze tecniche e legali specifiche, aggiornamento costante, collaborazione con utenti reali e una visione progettuale capace di integrare normative, tecnologia e user experience.
Come abbiamo visto non esistono scorciatoie.
Le soluzioni automatiche non garantiscono la conformità, e minimizzare i rischi normativi è un errore che può costare caro.
L’unico approccio sensato è quello che unisce audit tecnico-legale, supporto documentale conforme all’Allegato IV, test reali con tecnologie assistive e un piano di aggiornamento continuo.
Questo metodo permette di ottenere una conformità reale, verificabile, accompagnata da una documentazione adeguata e da un supporto legale specializzato.
Una filiera completa e coerente
Si tratta quindi di un insieme di procedure strutturate che mettono le aziende al riparo da sanzioni e contenziosi, offrendo al contempo un’opportunità concreta di miglioramento delle performance digitali.
Il nostro framework di lavoro si basa su:
- Design accessibile che rispetta la brand identity
Accessibilità non significa rinunciare all’estetica. Il progetto visivo viene integrato nel design system con attenzione alla coerenza cromatica, al tono del brand e all’esperienza utente globale. - Audit tecnico e legale congiunto
Ogni requisito normativo viene analizzato e implementato tecnicamente con la migliore soluzione disponibile. Nessuna separazione artificiale tra aspetti giuridici e aspetti digitali. - Testing sistematico con persone disabili
I progetti, come detto in precedenza, dovrebbero essere verificati da utenti reali con disabilità, che utilizzano quotidianamente screen reader, ingranditori e tecnologie assistive. Questo consente di validare l’esperienza d’uso sul campo, non in laboratorio. - Competenze verticali per piattaforma
La conformità non si improvvisa.
Ogni piattaforma (Shopify Plus, Magento, Salesforce, WooCommerce, PrestaShop o Custom) richiede conoscenze specifiche e verticali, non “IT generiche”, per intervenire nel modo rapido, corretto senza compromettere performance, SEO o funzionalità.
- Supporto legale esperto e continuativo
L’attività legale è parte integrante del processo, con la necessità di uno studio legale specializzato in materia e con esperienza documentata su casi concreti.
In caso di contenziosi o segnalazioni, il supporto deve essere operativo e non formale.
Perché scegliere noi adesso (e perché l’urgenza è reale)
Il mercato dell’accessibilità digitale si sta polarizzando rapidamente e irreversibilmente.
Da un lato ci sono professionisti poco seri che vendono soluzioni miracolose a prezzi stracciati, promettendo conformità istantanea con widget con poteri magici.
Dall’altro ci sono i professionisti seri che fanno il lavoro correttamente, con metodo, competenza e responsabilità.
Nel mezzo, c’è una terra di nessuno pericolosa dove non conviene assolutamente stare.
O si fanno le cose seriamente, con professionisti competenti che si assumono completamente le responsabilità del loro operato, o si rischia concretamente di sprecare soldi in soluzioni inefficaci che vi lasciano completamente esposti ai rischi normativi e reputazionali.
Noi vogliamo essere inequivocabilmente dalla parte giusta della barricata.
Non perché siamo perfetti o infallibili, ma perché:
- Ci riferiamo a buon senso per risolvere problemi reali e offrire costi di adeguamento consoni
- Ci assumiamo integralmente le responsabilità legali del nostro lavoro
- Abbiamo dimostrato di avere le competenze per fare il lavoro correttamente lavorando per clienti come Luxottica, Pittarello, Borbonese, Callmewine, Alessi, Clio Make up, Miriade, Gruppo Teddy, ecc…
- Offriamo garanzie concrete e verificabili, non promesse di marketing
E il tempo disponibile si sta esaurendo rapidamente. Il 28 giugno 2025 si avvicina inesorabilmente.
Chi parte seriamente adesso ha ancora margini sufficienti per fare le cose correttamente, con calma, con qualità.
Chi continua ad aspettare rischia concretamente di trovarsi costretto a soluzioni d’emergenza improvvisate, con risultati scadenti e costi moltiplicati.
Il futuro digitale sarà accessibile. Che lo vogliate o no.
L’accessibilità non è un trend del momento, né un vincolo burocratico imposto da Bruxelles.
È una trasformazione culturale, normativa e tecnologica destinata a diventare uno standard globale, al pari di ciò che è avvenuto con la privacy post GDPR o con la sostenibilità ambientale nelle strategie ESG.
È il nuovo requisito di base per poter partecipare con credibilità all’economia digitale di domani.
I segnali sono evidenti:
- I consumatori più giovani premiano aziende inclusive e socialmente responsabili
- Gli investitori istituzionali integrano i criteri ESG nei processi di valutazione
- I governi rendono più stringenti controlli e obblighi
- Le tecnologie abilitanti sono sempre più diffuse, mature e accessibili
In questo scenario, adeguarsi oggi non significa soltanto evitare sanzioni.
Significa creare un vantaggio competitivo che sarà sempre più difficile recuperare per chi rimane indietro.
Un’occasione che pochi stanno cogliendo
Siamo nel mezzo di una fase di transizione irripetibile.
La maggior parte delle aziende non ha ancora compreso la portata strategica dell’accessibilità.
Il mercato è dominato da approcci approssimativi, soluzioni palliative e confusione normativa.
E proprio in questo vuoto si crea lo spazio per chi decide di fare sul serio.
Essere tra i primi ad agire oggi equivale a ciò che è stato avere un sito web negli anni ’90, presidiare i social media nei 2000, implementare per primi una governance GDPR nel 2018.
Chi costruisce competenza e qualità adesso, costruisce anche una barriera competitiva per il futuro.
Tre opzioni. Una sola sostenibile.
Ignorare il problema
Sperare di non essere tra i controllati non è una strategia.
È esporsi consapevolmente a rischi legali, reputazionali ed economici.
Affidarsi a soluzioni apparenti
Widget magici, consulenze improvvisate, “soluzioni” a basso costo.
Non reggeranno al primo controllo serio. Sono false sicurezze.
Investire nella conformità reale
Professionisti veri, competenze trasversali, approccio tecnico legale integrato.
È più impegnativo, ma è l’unico investimento strategico sensato.
Il futuro del business digitale sarà accessibile.
Ed è una traiettoria già in atto.
La vera domanda è se volete farne parte da protagonisti o subirlo da ritardatari
La scelta, per ora, è ancora vostra.
Angelo Annibaldis
Founder Accessibilità Digitale
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